Danno da perdita del rapporto parentale e requisito della convivenza
Tribunale Piacenza · 30 Maggio 2014
Il contratto di albergo costituisce un contratto atipico o misto, con il quale l'albergatore si impegna a fornire al cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni eterogenee, quali la locazione di alloggio, la fornitura di servizi o il deposito. Anche quando non preveda espressamente prestazioni di natura sanitaria, implica comunque a carico dell’albergatore l’adozione di tutte le cautele finalizzate alla salvaguardia della vita e dell’incolumità fisica degli ospiti, che appaiono dovute anche in assenza di esplicita pattuizione contrattuale rientrando nella categoria dei c.d. obblighi di protezione.
L’ente proprietario e gestore della struttura alberghiera risponde delle patologie infettive contratte dal beneficiario del soggiorno imputabili a disfunzioni organizzative.
Sussiste la responsabilità diretta della struttura per inadempimento del contratto intercorso con il danneggiato, inadempimento consistente nella carente organizzazione in relazione a tutti quei profili che evidenzino l’esposizione del danneggiato ad un rischio estraneo, diverso, ulteriore rispetto a quello che caratterizza la prestazione fornita: assenza di personale sufficientemente qualificato, esiguità dello stesso in rapporto al numero di degenti ed al tipo di interventi richiesti o ragionevolmente prevedibili (ciò che si potrebbe definire “carico esigibile”), mancata o inadeguata sorveglianza sul coordinamento dei servizi, incapacità di garantire la salubrità degli ambienti, mancanza di attrezzature di adeguato livello tecnologico rispetto alle prestazioni offerte.
Il danno da perdita del rapporto parentale non richiede quale condicio juris la convivenza con il defunto. Risultando leso l’interesse alla integrità della sfera affettiva familiare, il fatto costitutivo della obbligazione risarcitoria (cfr. art. 1173 c.c.) è l’illecito, non la convivenza, perché la lesione consiste nella perdita di un affetto, non di una convivenza. L’assioma di un imprescindibile legame tra i due concetti appare privo di riscontri nella vita reale, in cui vi sono convivenze prive di significativa affettività così come vi sono rapporti affettivi molto intensi in cui si è costretti a rinunciare alla convivenza o che permangono pur quando questa sia cessata. Ne consegue che non può ritenersi che, cessata la convivenza, cessi automaticamente anche il legame affettivo.
Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale all’interno dell'unità familiare, intesa come perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale, è sufficiente l'emersione, sul piano probatorio, di "normali rapporti" che, specie in assenza di coabitazione, lascino intendere come sia rimasto intatto, e si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti; ed escludendo espressamente che l'assenza di coabitazione possa essere considerata elemento decisivo, essendo tale assenza imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere di vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto.
Autore Massima Dott. Antonino Fazio
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Segnalazione Dott. Antonino Fazio
Normativa di riferimento: c.c. art. 1218; c.c. artt. 2043, 2059; Cost. artt. 2, 29